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In conversation with ALESSANDRO BORGHESE

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Alessandro Borghese

Nato a San Francisco, romano di formazione e cittadino del mondo per cultura: incontriamo Chef Alessandro Borghese nella cornice di New York, dove ha curato catering e cocktail per l’inaugurazione del nuovo showroom di Marcolin.

di Redazione

Nella tua vita hai passato diversi periodi negli Usa e a New York: cosa significa oggi per te rappresentare la nostra cucina negli Stati Uniti?

«Rappresentare l’Italia negli USA per uno che è nato negli Stati Uniti da padre napoletano e madre cecoslovacca è un vanto. Oggi, dopo tanti anni in Italia, tra lavoro nelle cucine e comunicazione in televisione, tornare nel Paese che ho lasciato ormai 40 anni fa è affascinante. Ed è un impatto forte dal punto di vista culturale e gastronomico, oltre che da quello dello stile, dell’arte, del bello. Io sono un amante del bello e poter contribuire a portare tutto questo qui per me è un motivo di grande orgoglio. Un modo di esprimere la mia italianità e, allo stesso tempo, di riprendere un po’ della mia parte americana».

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Come vivi questa nuova responsabilità di “ambasciatore della cucina italiana negli Stati Uniti”?

«La mia candidatura ad ambasciatore, nata dalla decisione del nostro Governo di spingere sull’acceleratore per far diventare la cucina italiana “patrimonio immateriale dell’UNESCO”, mi ha piacevolmente sorpreso. Il fatto che abbia deciso di voler utilizzare me come, diciamo, testa d’ariete per entrare nel mondo americano ha generato un sentimento d’orgoglio che ha fatto bene a me e a tutto il mio team. Ci siamo detti: beh, qualcosa di buono lo abbiamo fatto!».

“a me piacerebbe adattare un po’ della nostra italianità al mercato americano”
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Quali sono gli “ingredienti” made in Italy più apprezzati oltreoceano?

Se io mi dovessi vedere come un direttore d’orchestra, con tutti quelli che sono i miei ingredienti e con un piatto rappresentativo della cucina italiana che devo proporre a un mercato come quello statunitense, e quel piatto può essere un mobile italiano, un abito sartoriale, un’automobile, un paio d’occhiali, so già che si tratta di prodotti Made in Italy che – già per questo – hanno un grande appeal. Ecco, a me piacerebbe adattare un po’ della nostra italianità al mercato americano, come credo dovrebbero fare tutti quelli che rappresentano il Made in Italy in una certa maniera: studiare proposte “tailor-made” per adattare la propria proposta al cliente».