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In conversation with GAIA BONANOMI

Boundless visions

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Gaia Bonanomi

Tra i protagonisti del progetto Framing Light che ha coinvolto cinque fotografi contemporanei italiani per interpretare i valori di WEB EYEWEAR, Gaia Bonanomi, giovane fotografa di moda che predilige lavorare con la pellicola, racconta il suo lavoro e la sua vision.

di Newsroom

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1. È possibile comunicare in modo efficace un prodotto senza mai mostrarlo ma interpretando i valori del brand, come ti è stato chiesto per il progetto WEB EYEWEAR-Framing Light?

«Personalmente la considero una strada interessantissima, coraggiosa, decisamente innovativa. Puntare sulle atmosfere, sulle emozioni e sull’immaginario legato a un prodotto, senza però mostrarlo, vuol dire raccontare una storia più forte, che rende molto interessante e desiderabile il prodotto stesso. In questo caso, poi, parlando di occhiali da sole, è stato inevitabile immergersi nell’atmosfera del viaggio, della scoperta e dell’immersione nella natura».

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A cosa ti sei ispirata per declinare concetti come trasparenza, gusto e quiet luxury?

«Per il gusto mi sono concentrata sui valori del “gusto all’italiana”, fatto di cose semplici, quotidiane, e -forse proprio per questo- estremamente poetiche, dotate di una loro eleganza. Ho cercato quindi di mettere al centro semplici oggetti quotidiani, di quelli che si possono trovare in ogni casa e, con un gioco di specchi, riflessi e trasparenze, ho dato a questi oggetti una nuova storia, una nuova dimensione. Lo stesso per i concetti di trasparenza e quiet luxury, che ho tradotto giocando molto con la luce, i riflessi, le ombre. In particolare, per il concetto di quiet luxury, la luce calda mi ha permesso di fermare delle immagini come se fossero viste da dietro un paio di occhiali da sole».

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Quale, tra tanti, è stato lo scatto più sfidante?

«Sicuramente tutti quelli legati al concetto di quiet luxury, che ho scelto di evocare con la figura di una donna che, in controluce, danza nella natura: il sole stava calando e avevo sempre meno tempo. Lavorando con la pellicola, infatti, non ho la possibilità di scattare 40 foto al secondo, sono “costretta” a cogliere l’attimo. Ecco, quelle immagini -specie quelle degli ultimi 20 minuti- portano in sé il desiderio di “fermare” in tempo la luce giusta».

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