Le tue creazioni colpiscono sempre per la forza delle immagini e un certo spirito dadaista, che si diverte a rovesciare il significato delle cose: è questo che ti ha fatto apprezzare da testate come Vogue, Harper’s Bazaar e Vanity Fair?
«Ho iniziato in maniera completamente diversa, fotografando modelli e non avevo niente a che fare con la fotografia di prodotto o cose del genere. Ma poi è arrivato il 2020 e tutto nel mondo è cambiato. Questo mi ha portato verso questo tipo di fotografia e mai avrei pensato che potesse trasformarsi in una tale passione: ho scoperto che mi piace moltissimo lavorare con gli oggetti. Nel profondo del mio cuore sono un’artista e, se avessi avuto la pazienza per farlo, sarei stata una pittrice. Invece, al posto dei colori a olio o delle matite, uso la mia macchina fotografica e i miei set, che spesso costruisco da sola per creare i miei quadri personali, cercando di creare l’inaspettato».
Come riesci a coniugare l’amore per i pittori del Rinascimento, o temi poetici come quello del corpo e le sue trasformazioni, con la comunicazione di un prodotto?
«In realtà una fase precedente della mia vita ho studiato economia e marketing e per tanti anni ho lavorato per una grande agenzia pubblicitaria tedesca, nel dipartimento di Art Buying e, poi, come creative director per i miei servizi fotografici. Quindi conosco il settore in tutti i suoi aspetti, inclusi i principi fondamentali del marketing. Cioè che, prima di tutto, bisogna catturare l’attenzione dell’osservatore, distinguersi. Lo tengo sempre bene in mente e questo mi rende più facile coniugare queste nozioni di marketing con il mio punto di vista estetico. Non tratto gli oggetti come tali, li tratto come se fossero i miei modelli».
“Non tratto gli oggetti come tali, li tratto come se fossero i miei modelli”
A un’artista che lavora con lo sguardo, è impossibile non chiederlo: qual è il cuore della visione estetica e spirituale che guida il tuo lavoro e che è scattata anche in questo progetto di realizzazione di questi scatti per Marcolin?
«Il punto di partenza per questo progetto per Marcolin è stato un dialogo sulla presentazione dell’essere umano nell’epoca della realtà aumentata e della IA, e su come garantire la presentazione umana se l’intelligenza artificiale è in grado di copiare un essere umano quasi alla perfezione. Così ho iniziato a studiare le idee del Costruttivismo e dell’Art Nouveau dell’inizio del XX secolo, movimenti che erano anche una risposta al progetto tecnico dell’epoca, perché abbiamo tutti una memoria collettiva di forme e immagini. È stato molto interessante lavorare usando parti del corpo, la testa, e abbinarle agli occhiali».