Iconici anni ’80

Dal Viaggio in Italia al Made in Italy

Nessuna opera letteraria straniera ha contribuito a costruire un immaginario sul nostro paese, quanto il celebre Viaggio in Italia del prolifico letterato tedesco J. W. Von Goethe, che tra il 1786 e il 1788 percorse l’Italia, ritraendola come luogo ideale di bellezza, sospesa tra una dimensione edenica dei paesaggi e di sublime ispirazione in virtù della sua arte. Bisogna aspettare gli anni ’80 del Novecento perché quello stato dello spirito sia trasceso in materia. E se è vero che un decennio più tardi gli Afterhours affermavano cantando che Non si esce vivi dagli anni ’80, l’Italia, proprio allora tornò alla ribalta con una nuova identità: audace, operosa e organizzata attraverso un sistema produttivo riconosciuto per l’alta qualità e lo stile inconfondibile. Il Made in Italy, che prese il volo in quegli anni, ha decretato il successo di un patrimonio squisitamente italiano, sotto diversi ambiti.

Le incursioni retrò nell’occhiale avevano forme cat eye e allungate, ma anche leggermente trapezoidali, nei toni scuri e colorati, come in certe collezioni prodotte da Marcolin

Dalla moda al design, dal cibo alla meccanica

Sono quattro le A che hanno definito l’identità di un paese intero: nell’abbigliamento, nell’agroalimentare, nell’arredamento e nelle automobili. Degli stilisti che del Made in Italy sono stati i principali promotori ricordiamo il genio di Gianfranco Ferré, noto per l’armonia dei volumi delle sue creazioni, celebrato per lo stile impeccabile dei tailleur in gessato e per aver trasformato la camicia in feticcio. Le donne che immaginava per le sue creazioni, in un’epoca in cui l’euforia del benessere spesso sfumava in superficiale apparenza, rimandavano alla riscoperta del loro potere. Le donne potevano ambire a ruoli apicali nella società. Da qui lo stile formale accompagnato dall’audacia degli accessori. Le incursioni retrò nell’occhiale avevano forme femminili: cat eye e allungate, ma anche leggermente trapezoidali, tanto nei toni scuri quanto colorati, le cui influenze si susseguono nel filo del racconto, dalle aste alle lenti, in certe collezioni prodotte in casa Marcolin.

A volte ritornano

Non è soltanto il titolo di una delle raccolte di racconti più significative di Stephen King, il re del brivido, pubblicata in Italia nel 1981, a unire gli ultimi sussulti degli anni ’70 alla nuova era. Lo spirito del tempo si presenta indossando silhouette da pieno revival: tra i quali troviamo gli iconici occhiali rotondi, colorati o tartarugati ispirati ad Andy Warhol che danno appuntamento nei magazine colorati, nei set cinematografici e nelle strade delle città di un Occidente e di un’Italia pieni di ardore alle celebri lenti a goccia, tornate in auge, complici le pellicole di un’epoca seducenti per estetica e trame. Ed è con questo spirito, rievocando pagine di libri, di immagini di archivio e film, che Marcolin ha dato voce nelle proprie collezioni a queste atmosfere.

Dalla moda al design, dal cibo alla meccanica, erano quattro le categorie che ridefinirono l’immagine del paese. Il Made in Italy prese il volo in quegli anni

La Realtà Aumentata

Un progetto di training e customer experience

L’apprendimento a servizio dei dipendenti viaggerà sulle potenzialità della tecnologia della realtà aumentata, dando seguito e sviluppo al programma del Manufacturing Academy di Marcolin: entrare nel cuore degli uffici creativi e della manifattura, indossando un visore di realtà virtuale sarà il modo più semplice per apprendere processi e competenze necessari alla realizzazione di oggetti unici. Sabrina Paulon, Group HR Director di Marcolin, sottolinea come questo progetto, partendo da una sua prima applicazione nell’ambito formativo per i propri dipendenti sia poi stata ampliata. «È stato naturale per l’azienda ampliare l’applicazione dello strumento anche all’esperienza coi nostri clienti» Toccare con mano le eccellenze della produzione e trasmettere conoscenza riguardo l’identità e l’unicità del processo creativo nella sua interezza, in un incontro tra artigianalità, innovazione tecnologica e manifattura 4.0, fa parte dell’esperienza. Clienti e partner di tutto il mondo, grazie a riprese video di riproduzione degli ambienti all-round, colmeranno le distanze e avranno accesso agli stabilimenti italiani, senza spostarsi da casa.

Il visore permette di sperimentare un’esperienza immersiva nella sede di Longarone, dove l’azienda è nata nel 1961, e negli spazi produttivi di Fortogna

La realtà aumentata

Una volta indossato, il visore permette di sperimentare un’esperienza immersiva nella sede di Longarone, dove l’azienda è nata nel 1961, e negli spazi produttivi di Fortogna. La modalità immersiva si basa su una tecnologia che offre all’utente la visione completa di uno spazio. Gli ambienti da esplorare sono quelli della produzione: dal processo creativo alla realizzazione del prototipo, a cui seguono le fasi successive della produzione, per finire con la distribuzione del prodotto. L’ultima sequenza di questo viaggio nel mondo produttivo di Marcolin termina con la vendita di un occhiale all’interno di uno store di ottica.

Ogni ambiente possiede il suo oggetto speciale con cui venire a contatto, rendendo quest’esperienza immersiva unica

Vedere e toccare

In ognuno di questi ambienti si trova un oggetto con cui interagire. Guardarlo e sperimentare un’esperienza tattile fa parte della cifra valoriale e immersiva del progetto. Cosa può essere l’oggetto? L’unicità frutto dell’ingegno Marcolin: pezzi straordinari delle collezioni, l’artigianalità di un dettaglio di design o della fase produttiva, o, ancora, il particolare di un occhiale, che da grezzo passa attraverso il processo di lavorazione. Ogni ambiente possiede il suo oggetto speciale con cui venire a contatto, rendendo quest’esperienza immersiva unica. A breve, la possibilità di farsi accompagnare in questa experience da una live guide, direttamente da un rappresentante dell’Azienda e da remoto, renderà il viaggio sartoriale, cucito sulle esigenze del singolo cliente, partner o semplice appassionato del marchio Marcolin.

Eclettici anni ’70

Temi stellari

Così potremmo chiamare i temi, come gli echi delle celebri guerre (stellari) del regista George Lucas, che hanno segnato il decennio: tra nuovi spazi intergalattici e immaginari da esplorare, rivoluzioni, politiche e sociali che ne hanno definito i contorni attraverso il rinnovamento del gusto e del lifestyle di un’epoca per molti aspetti rivoluzionaria. Questo fermento, che si legava alle rivoluzioni del decennio precedente attraverso un contraddittorio senso di sconfitta e vittoria al tempo stesso da parte degli aderenti alla controcultura, riscopre un individualismo che tende a esprimersi in eccentricità: dall’arte seriale e irriverente di Andy Warhol alle conturbanti sonorità di Lou Reed e dei Velvet Underground fino a Elton John e a David Bowie, che con un’originalità senza uguali hanno cantato l’ignoto di un altro spazio oltre la terra. E in termini di design questo fermento, come ha contaminato gli spazi e gli accessori della quotidianità? Attraverso una rivoluzione del gusto dall’intento inequivocabile.

Catalizzare lo sguardo

L’identità del decennio è passata dal mondo delle idee a quello del design imprimendo un significativo twist dal gusto post-moderno. Sono le linee essenziali e pulite del mondo degli oggetti, in particolare quelli relativi all’illuminazione – con la consacrazione delle lampade a sospensione dal bianco immacolato – a essere accostate agli immaginifici effetti tipicamente optical, frutto delle influenze del mondo della psichedelia ancora in voga, a caratterizzare le forme geometriche delle carte da parati dalle tinte sgargianti che decoravano le case. Il destino dei colori sembrava agganciarsi a quello delle forme costruite ad arte per ingannare l’occhio: l’Optical Art, nata sul finire degli anni ’60, si sviluppò e trovò la cornice migliore per esprimersi nel decennio successivo, accostando in particolare due colori: il bianco e il nero, il cui match diede il via al suo utilizzo più congeniale nella moda e negli accessori. Il mood board di questo stile, che strizza l’occhio alla fantascienza, anche attraverso occhiali dalla forma oversize dall’effetto stampato, è ben reso dal video clip creato da Jack Whiteley e Laura Brownhill per la canzone Bennie and The Jets, di Elton John, che proprio in quegli anni era intento a ricavarsi un posto nel tempio dello stile: esibirsi di fronte al pubblico con vistosi occhiali da sole, riccamente decorati anche al calar del sole, divenne un viatico verso l’iconografia di un’epoca. Ma furono gli occhiali dalla forma bold e dai colori vivaci a rappresentare al meglio i toni ironici e desiderosi di leggerezza di quella corrente del gusto, figlia di quei fiori che tutti conosciamo, che contribuì a dare un nuovo impulso agli oggetti e al design di interni del periodo. Dello stretto legame rivendicato dal revival delle filosofie orientali e della necessità di un benessere connesso a uno stato di natura è intriso quel trend che ancora oggi in casa Marcolin influenza le collezioni più glam e luxury, dalle forme audaci e dai colori pastello.

Furono gli occhiali dalla forma bold e dai colori vivaci a rappresentare al meglio i toni ironici e desiderosi di leggerezza di quella corrente del gusto figlia di quei fiori che tutti conosciamo

Sperimentare con nuovi materiali

Così fecero i designer del decennio, ricorrendo a nuove forme e a nuovi materiali. Dalla cultura pop e dal mondo dell’animazione si raccolsero bocche, mani, vegetali da trasformare nelle più eclettiche delle sedute. Dalla volontà di sperimentare, invece, nacque la necessità di concentrarsi su nuovi materiali. Anche controversi. Non è il caso della gommapiuma – antesignana del poliuretano espanso – bensì della plastica, sul cui utilizzo si scontrarono i due poli opposti della controcultura: quella hippy, che aberrava persino la parola perché «…di plastica erano gli oggetti prodotti in massa, facili da manipolare e privi di autenticità. Le persone di plastica avevano gli stessi attribuiti» scriveva Ken Goffman nel saggio Controculture. Al contrario per Warhol, la plastica possedeva qualità: flessibilità, mutevolezza, variabilità. «Nel regno dell’autenticità, la flessibilità può essere sospetta» proseguiva Goffman, rimarcando il contrasto estetico e di pensiero di un decennio fortemente contraddittorio, che spinse una parte del movimento hippy a seguire la variabilità eccentrica di Warhol, caratterizzata da suo ironico distacco. Del resto, l’artista passò alla storia per essere attratto dal denaro, dalla fama e dalla bellezza superficiale.

Dall’idea al prototipo

Everything stems from an idea

Accompanied by our expert guide Simone Longo, who is the Prototyping Manager for Marcolin Group worldwide, we discover that in the creation of a pair of glasses with a unique design and a perfect fit, there is an intermediate part of the process which, like a bridge between two worlds, verifies the feasibility of an idea and can prevent any errors in the subsequent production phase. Prototyping is very close to the concept of virtuosity and does what is expected of someone who is used to experimenting: combining a high degree of technical skill and experience with a virtue linked to a dimension of the soul, empathy. “For us, everything starts with the idea, established through an aesthetic drawing or a draft, from the designer or brand,” explains Longo. For an idea to be transformed into a product, it is vital to be able to capture its essence, that unique matrix to which a body can then be given. It is the understanding of the message to be communicated that allows the prototype maker to proceed to the next stage of the prototype production process.

Prototyping is very close to the concept of virtuosity and does what is expected of someone who is used to experimenting: combining a high degree of technical skill and experience with empathy

Project feasibility

“Starting with the sketch of the idea, we produce an initial 2D drawing that leads to a preliminary discussion with the designer. The critical aspects of a project are already emerging at this stage. Only afterwards is the 3D model made, with which the technical correctness and compliance with the aesthetic requirement is checked in detail,” Longo continues, moving inside that special world.
It is divided into two areas: the first is the design part, in which experienced technicians develop the design using the latest technologies such as 3D printers, and they also mill the materials. The second, on the other hand, is characterised by the craftsmanship of the artisans, operators who, with the help of numerous small machines, assemble the glasses and give that final touch of sensitivity that contributes to making the end result special. The prototype department must be able to develop any type of machining required, with the ability to have control over quality and meet deadlines.

For us, everything starts with the idea, established through an aesthetic drawing or a draft, from the designer or brand. For an idea to be transformed into a product, it is vital to be able to capture that unique matrix to which a body can then be given

Prototyping is a multi-lane motorway

This is how Longo imagines it. “In one lane we have maintained and enhanced craftsmanship, whose approach leaves more room for the sensitivity of the prototype maker. The other lanes, on the other hand, are reserved for the development of paths leading towards virtual reality and new technologies. It is often the brands themselves that prompt us, by means of projects which we know from the outset will not go into production, but which will give us the opportunity to test out new production methods.” The use of 3D printing has proved successful in two ways. Firstly, because a preview of a prototype provides an opportunity for dialogue with the designer, reducing reworking, wasted material and time. Secondly because it has made it possible to simulate stages of production that it would not be possible to use for reasons of cost and time in a very short time frame. Research and the desire to experiment are ongoing goals, pushing us towards ever greater targets: to have all stages of development taking place in-house, with the best possible output in order to ensure high quality and on-time delivery. Working on strategic areas has always been one of Marcolin Group’s key strengths.

Nuovo MetaUmanesimo

Every idea is like the wind

Moved by different stimuli, it translates desires and needs into style. The approach to creation, according to the Marcolin Group’s Style and Development Department, is two-pronged. The first is emotional, about how what we see of a pair of glasses tells its story through style codes, logos, details, structures and shapes. These are the cornerstones of a collection which, if maintained over time, build up a brand’s recognisability. The creation of these codes defines the action of a creative team focused on micro-areas. The hidden face of eyewear creation, on the other hand, refers to the second approach and measures itself against an idea of community immersed in the historical moment it inhabits. It is this world, encompassing thoughts, needs, desires and, at times, even fears, that is defined as a trend and, in turn, translated into style. The Marcolin Group’s Style Department has identified three trendsetting tendencies i.e. the trends of tomorrow. After the Bauhaus inspiration, defined previously, we discover the other two macro-areas that recur evolving over the years.

Metaverse and digital engagement

In a post-pandemic world that has seen a change in the relationship with technologies in individuals’ daily lives and the need for wellbeing, the concept of purely digital engagement defines the needs of a multitude of voices belonging mostly to the younger generations. To which earthly universe can this trend be traced? To the Metaverse, of course, which has become a place of refuge for many where fantasy reigns supreme. It is from this dimension that the tendency inherits its name, the Digital Urban Movement Metaverse to be exact. The needs of this trend group can be expressed in percentages and speak volumes: 70% of their needs travel online and speak the language of technology. From this trend, for example, digital fashion shows, the creation of prototypes or very special collector’s models (such as the Frida model) and even the reproduction of eyewear in digital form have been fully developed. The wellbeing of this type of trend, which accounts for 30% of those needs, translates into a commitment to protect the environment, which in recent years has come back to the attention of the planet’s leaders as a result of high-impact events. The anxieties of the new generations have also been translated into the return of certain creepy design details: the use of materials with a dark, shiny surface, or the metallic finish of certain collections, for example, hark back to the tradition linked to the world of the fantastic, from Gothic to fantasy.

The Metaverse has become a place of refuge for many. Materials with a dark, shiny surface, or the metallic finish of certain collections hark back to the tradition linked to the world of the fantasy.

New Humanism

This tendency includes the style codes that rely on an established history and strong brand recognition. The aesthetic and mental references of this trend can be found in the 1970s. In terms of shapes, the most recurring are large, enveloping ones, while the colours are in the pastel range. The brands that are part of this trend embody a very natural form of luxury, underpinned by what the Marcolin Group’s creative team has circumscribed into a precise ‘Green Attitude’: the all-round need, starting with the use of recycled materials, to create with zero impact, to move towards a non-invasive but natural aesthetic. It is no coincidence that the requirements of this tendency, in terms of needs, turn previous trends on their heads: 70% of the needs of this trend are concerned with wellbeing, only 30% with technology. And framing this desire is a further luxury that translates style into harmony, conjuring up the idea of a Paradise Lost where nature reigns unchallenged.

The Great Cosmic Mother

Una collaborazione tra il Moderna Museet di Stoccolma e il Modern Art di Oxford

Le storie che amiamo di solito sono quelle che, in qualche modo, consideriamo vicine al nostro mondo. Al contrario, le scoperte catapultano su scenari molto distanti dalla propria realtà. Eppure ci catturano. Un po’ come quella di Monica Sjöö la cui vicenda offre spunti su temi caldi quali, su tutti, la parità di genere. Si tratta di un argomento molto sentito per Marcolin, che sin dalla sua fondazione, è impegnata a sostenere politiche di genere in senso lato e azioni tese a favorire il bilanciamento tra vita lavorativa e vita familiare. Sin dall’inizio abbiamo scelto di prevenire: l’abbandono del lavoro da parte delle lavoratrici, innanzitutto, che per scelta o necessità, decidevano di occuparsi della famiglia. Col passare del tempo e il sopraggiungere di nuove sfide abbiamo attivato percorsi a sostegno della genitorialità, di inclusione ed empowerment al femminile di cui Sabrina Paulon, Group HR Director di Marcolin, ha già avuto modo di parlare. L’idea di raccontarvi The Great Cosmic Mother è nata da un interregno che unisce le assonanze e la qualità della scoperta di quest’artista svedese. Un percorso unico, in grado di mettere insieme tre elementi imprescindibili e interconnessi del mondo di Monica Sjöö: arte, politica e spiritualità.

La prima retrospettiva su Monica Sjöö è frutto della collaborazione tra il Moderna Museet e il Modern Art di Oxford è stata curata da Jo Widoff e Amy Budd

Quando Dio era donna: il mito della Grande Madre come eredità spirituale

Se il principio di ogni pensiero si misura con la parola, quella di Monica è collegata a Gaia, lo spirito della Terra, inteso come principio creativo del mondo, riflesso nel corpo della donna. È proprio quest’idea dipinta a unire i cicli della natura con la maternità, che, digradando in pratiche rituali vicine al paganesimo, rendono dirompente l’arte di Monica Sjöö. Quel che mette in scena non è una favola, e la tela God Giving Birth (1968) traduce inequivocabilmente l’iconografia femminista: Dio è una donna intenta a partorire. Ispirata dall’esperienza del parto del secondo genito, l’opera, tacciata di blasfemia e oscenità, sarà censurata e rimossa ovunque esposta. Oggi è parte di un corpo di 50 opere, tra le quali compaiono le suggestioni mistiche delle grandi tele e di opere murarie, inclusi i poster di protesta che hanno accompagnato l’artista nelle sue marce a favore dell’ambiente e della pace già a partire della fine degli anni ‘60.

Dalla Svezia al Regno Unito

Come molti artisti, Monica Sjöö ha vissuto una parabola personale che l’ha condotta oltre i confini di casa. Nata a Härnösand, nella contea svedese di Västernorrland nel 1938, troverà la strada dell’emancipazione a Bristol, dove si trasferisce in seguito all’incontro, avvenuto a Parigi, con il britannico Stevan Trickey, il futuro marito. L’esperienza traumatica del parto del primo figlio, avvenuta in un ospedale svedese, sarà materia di indagine personale fino alla catarsi, dovuta alla nascita degli altri due figli nelle più rassicuranti mura domestiche. A Bristol, nel 1964, Monica espone le prime tele astratte, dando inizio al suo impegno a favore dei movimenti femministi e pacifisti. È un rituale di passaggio che la porta in contatto con gli ambienti civili e radicali del suo tempo: dalle proteste contro la guerra in Vietnam passando attraverso le marce di liberazione dei movimenti femminili, che vedono nella libertà dell’individuo, senza distinzione di sesso, genere o classe un diritto imprescindibile. L’esposizione documenta l’impegno a tutto tondo dell’artista, consegnando al pubblico il ritratto di una donna la cui arte poetica, controversa e mai banale, radicale e struggente – come la tela a cui affida il dolore per la morte del figlio minore, Lament for my young son, primo di una lunga serie – e costringe alla riflessione. Il Moderna Museet di Stoccolma, in collaborazione con il Modern Art di Oxford, ha tracciato un fil rouge tra l’azione ecologista e femminista di Monica Sjöö e il movimento contemporaneo dei Fridays for Future, creato da un’altra svedese, decisamente più nota, ovvero Greta Thumberg. La mostra, per i temi trattati e per la narrazione originale, non poteva lasciare indifferente un’azienda come Marcolin. Per vederla a Stoccolma c’è tempo fino al 15 ottobre.

Elisa Lovatello

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Come possiamo definire un Cool Hunter e le sue competenze?

Il Cool Hunter intercetta gusti con del potenziale di sviluppo nel futuro. L’attività di ricerca tocca i settori più disparati: dal food alla cultura, dalla moda al design fino a interessare i fenomeni sociali e le tecnologie. La sua formazione è eclittica: può essere un fotografo, un creativo – spesso designer e content creator, ma anche giornalista, scrittore e ricercatore universitario. In ogni caso il Cool Hunter non soltanto è animato da una grande curiosità e intuizione, ma ha anche doti di comunicatore e grande spirito di osservazione rispetto una realtà complessa e ricca delle influenze più disparate.

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Cosa significa essere Cool Hunter in un’azienda come Marcolin?

Significa dare una struttura solida a una molteplicità di input esterni che riguardano solo alla fine della fase di ricerca l’ambito dello stile. Essere Cool Hunter significa tradurre le future tendenze del domani che altro non sono che gusti, idee, bisogni ma soprattutto atteggiamenti e mentalità ancora allo stato embrionale, la cui analisi mette insieme aspetti sociologici e filosofici della nostra realtà. Per esercitare questa attività fortemente intuitiva in un’azienda come Marcolin, la cui tensione creativa punta a dare corpo a bellezza e funzionalità, è necessaria anche una chiara visione di quel che il passato ha prodotto negli ambiti più diversi: dal mondo cinematografico all’arte, dal design ai libri e alla moda, ovviamente. L’orizzonte che chiamiamo futuro si intreccia spesso con gli echi del passato.

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C’è un’ispirazione in particolare che guida le tue ricerche nell’eyewear?

Ho una grande passione per la Street Dance sin da ragazzina, che si unisce al mio background di musicista. Per questo motivo ho sempre guardato con un interesse, forse fuori dall’ordinario, i video clip che a partire dagli anni ’80 accompagnano i brani degli artisti. A volte sono questi video, efficaci sia da un punto di vista narrativo che estetico, a diventare un tormentone e a decretare il successo di un brano. La passione per la musica mi ha portato a intraprendere una ricerca proprio sulle influenze musicali del Novecento in diversi ambiti della nostra società. Ero da poco approdata in azienda e desideravo affinare un metodo da applicare al mio lavoro di creativa per Marcolin. Ho condotto quest’analisi fuori dal mio orario di lavoro, coinvolgendo anche i miei colleghi. Posso dire che la rielaborazione delle mie ricerche sui trend, sfociate nella definizione di tre grandi tendenze, ancora oggi in evoluzione e con sfaccettature che riguardano sempre più spesso l’ordine delle emozioni prima ancora che gli elementi estetici, sono riuscita a prevedere per esempio, l’avvento della Trap con un certo anticipo sui tempi, o le influenze su forme e colori di certe eredità storiche ed estetiche su quei brand con particolari storie da raccontare.

Gli anni ’60

Stars sparkle like diamonds

The Misfits, directed by John Houston and released in 1961, made history for various reasons. Firstly, because the film stars Marilyn Monroe and was written by her husband playwright Arthur Miller, as his first and only script. Secondly, because it also features Clark Gable, who had never worked with Marilyn Monroe before. As a final addition to this stellar cast – specifically assembled to promote the film written by Miller – comes Montgomery Clift. Today, for the first time ever, the public can view, set against the breathtaking backdrop of Forte di Bard (AO), a story within a story, thanks to discreet and never intrusive shots from the archives of the celebrated Magnum agency. The shots depict the behind-the-scenes of a movie shadowed by the fame and personal life of its main characters (film icon Marilyn Monroe more than anyone, who at the time was going through the end of her troubled relationship with Arthur Miller – the couple in fact officially announced their divorce after the shooting). The exhibition, open until September 17, 2023, offers the typical behind-the-scenes graceful approach, a peek at the atmosphere and energy of a unique mix of scenic fiction and vivid emotions.

A small group of photographers with a great personality had exclusive access to the movie set. Every one of them documented, with their own style, the film shooting

Nine brilliant photographers on stage

A small group of photographers with a great personality had exclusive access to the movie set: Eve Arnold, Cornell Capa, Henri Cartier-Bresson, Bruce Davidson, Elliott Erwitt, Ernst Haas, Erich Hartmann, Inge Morath and Dennis Stock. Every one of them documented, with their own style, the film shooting. The exhibition showcases 60 shots, as a tribute to the decade to which it refers, the 1960s, when the wind of change was blowing in America, shining the spotlight on youth protest movements. Western movies that were so popular in the 1940s and 1950s were now out of fashion; Arthur Miller knew it and so he chose a very personal approach to his script. Magnum Photos also wanted to be part of the change and welcomed the first woman photographer aboard: Eve Arnold, whose backstage shots of The Misfits are featured in this article as they really capture and express Marilyn Monroe’s emotional authenticity on and off stage.

The classic dark cat-eye or butterfly sunglasses that were so popular at the time featured the typical shapes that were considered real style must-haves and that are now back in fashion in the Marcolin collections

A timeless style

The diva, instead, the one who was born when she changed her name to Marilyn Monroe, expressed herself with seductive femininity – an allure that in the 1950s the Hollywood industry had already built around other icons of the time, from Elisabeth Taylor to Ava Gardner. After all, the audience just wanted to dream and the post-war period provided fertile ground for the codification, also in aesthetic terms, of a diva status that would continue until the 1960s. The classic dark cat-eye or butterfly sunglasses that were so popular at the time featured the typical shapes that were considered real style must-haves and that are now back in fashion in the Marcolin collections. In fact, in the shots featuring Marilyn in New York City on the day after her divorce announcement from Arthur Miller, she is captured forever wearing a pair of dark cat-eye sunglasses, her face framed by a classic white scarf, perhaps shielding her, like never before, from the tough outside world.