Moira Mascotto

Il Museo Antonio Canova di Possagno è conosciuto in tutto il mondo: cosa trovano studiosi e appassionati d’arte tra i modelli in argilla e i gessi preparatori delle sculture di Canova?

«Dire semplicemente ‘la bellezza’ sarebbe riduttivo. Le sculture in marmo del Maestro di Possagno sono esposte nei più illustri musei italiani e stranieri e attraggono migliaia di visitatori per il livello di perfezione formale e la resa naturale che hanno consacrato Canova come il sommo scultore degli anni a cavallo tra Settecento e Ottocento. Tuttavia, nel nostro Museo si cela qualcosa di ancor più profondo. Pur trattando gli stessi soggetti, qui la materia si trasforma: l’argilla per i bozzetti in scala e il gesso per i modellini e per i modelli a grandezza naturale. Questi materiali svelano l’Artista nella sua essenza, nella sua manualità e nella sua incessante ricerca: nell’argilla, Canova è rapido, cambia idea, aggiunge e sottrae materia, rendendo ogni opera un mosaico di pensieri in continua evoluzione. Il gesso, invece, è lo stadio che anticipa la perfezione del marmo, ma è ancora possibile percepire la fatica dell’uomo al lavoro, che modella e leviga la pasta viva del gesso. Il Museo include poi la Casa natale dell’Artista, un luogo di inestimabile valore, dove sono conservati i suoi dipinti e gli effetti personali, che offrono una visione più intima, un vero e proprio incontro con l’Artista uomo, percepibile in ogni opera».

Museum Gypsotheca Antonio Canova

Questo però non è solo un luogo della memoria: qui classico e moderno si incontrano e completano. Ma cosa unisce la parte più antica dell’edificio, del 1836, all’ampliamento del 1957 progettato da Carlo Scarpa?

«Quando è stato eretto il nucleo originario della Gypsotheca, grazie alla visione illuminata di Giovanni Battista Sartori, fratellastro di Canova, l’intento primario era raccogliere in un luogo sicuro e maestoso le opere in gesso del Maestro, ricreando l’atmosfera del suo atelier romano. Con l’ampliamento progettato da Scarpa a metà del Novecento, invece, l’obiettivo si è evoluto. Non si tratta più solo di conservare, ma di valorizzare, dare spazio, irradiare di luce le opere, permettendo loro di prendere vita nel suo ambiente espositivo. Carlo Scarpa è riuscito a connettere armoniosamente l’antico e il moderno e le opere di Canova fungono da legante essenziale, abitando tanto l’Ala ottocentesca quanto quella novecentesca. Ma la classicità dell’opera di Canova è di per sé innovativa: le forme perfette dei corpi sono accompagnate da volti senza tempo, archetipi universali. Inoltre, luce e natura – adottati in modo magistrale da Canova e da Scarpa – donano al Museo un carattere senza tempo».

Museum Gypsotheca Antonio Canova

Uno spazio come questo parla anche di manualità e lavoro al servizio della bellezza: un’ispirazione anche i creativi di oggi?

«Credo fermamente che uno spazio come il Museo Gypsotheca Antonio Canova possa e debba ispirare i creativi contemporanei. Lo Scultore non rappresenta solo un esempio di abilità artistica eccezionale, ma incarna anche dedizione al lavoro e un’attenzione meticolosa ai dettagli, valori fondamentali in ogni ambito creativo, all’interno di un percorso di costante perfezionamento e ricerca della bellezza e dell’armonia.  Nel contesto attuale, dove la tecnologia e l’automazione giocano un ruolo sempre più preponderante, riscoprire l’importanza del lavoro manuale può offrire una nuova prospettiva. La moda, il design, l’architettura e persino l’elettronica possono trarre ispirazione dall’approccio metodico e riflessivo dell’Artista. Non si tratta solo di creare qualcosa di utile, ma di infondere in ogni progetto bellezza e unicità che riflettono una profonda comprensione dei materiali e delle tecniche».

 

Museum Gypsotheca Antonio Canova

Marcolin in Paris

La personalità esuberante di TOM FORD, le linee geometriche di Zegna, l’equilibrio tra passato e futuro di MCM e la tecnologia al servizio dello sport di adidas. Queste sono solo alcune delle quattro collezioni che quest’anno rappresentano Marcolin a SILMO: cosa le lega?

«Il minimo comune denominatore che unisce stili così diversi tra loro è l’approccio che Marcolin ha verso ogni singolo brand, che segue con una progettualità specifica, sartoriale, e considerando sempre tre aspetti: il momento storico, la legacy del marchio e gli input della direzione creativa. Quindi a Parigi nello spazio espositivo di Marcolin abbiamo visto le montature molto ampie di TOM FORD, ispirate al glamour francese, occhiali da diva realizzati con colori caldi e lenti sfumate che riproducono l’effetto del make-up. La nuova collezione di MCM, invece, riprende dettagli che vengono dal mondo della valigeria e parla ai più giovani, tra superfici scultoree e linee che guardano al futuro. Come la tecnologia di adidas, sempre al servizio dello sport ma anche dello stile, mentre Zegna quest’anno propone degli occhiali di ispirazione vintage, ma arricchiti da nuovi dettagli come il logo che fa da cerniera, diventando così un elemento funzionale e non solo estetico».

Silmo 2024

Guardando al futuro: prosegue il trend che ha visto alcune delle montature vintage -come le cat-eye o quelle a goccia- spopolare in viaggio e sulle spiagge quest’estate?

«Anche nel mondo dell’eyewear ci sono geometrie intramontabili, dei veri classici che non passeranno mai di moda, pur riproposti con tocchi di novità nei colori e soprattutto nei volumi. Le linee cat-eye, dunque, continueranno a essere presenti anche nelle prossime collezioni, anche se quest’inverno vedremo soprattutto dominare gli occhiali dalle forme più basse e rettangolari. I modelli a goccia, invece, si riconfermano come un trend che non passerà mai di moda».

“I modelli a goccia, invece, si riconfermano come un trend che non passerà mai di moda”.
Lara Marogna portrait

Un tipo di occhiale che ha dominato la scorsa primavera è stato quello a mascherina. Lo ritroveremo anche quest’inverno?

«Assolutamente sì, quello degli occhiali ampi e avvolgenti è un trend riconfermato anche da quello che abbiamo visto a Silmo e che ritroveremo in città quest’inverno e sulle spiagge la prossima estate, magari reinterpretato in nuovi colori e materiali, anche inediti abbinamenti al metallo. Senza tradire lo stile fresco, giovane, informale e colorato che rappresenta la cifra degli occhiali a mascherina».

Silmo 2024

  Quelle iconiche scarpe dalla suola rossa

Early Life in Paris

He was only 12 years old when, at home in Paris, where he lived with his mother and three sisters, Christian Louboutin started designing women’s shoes, as he was intrigued by the female universe and by the power of a pair of stilettos. But the real life-changing moment was when he started working as an intern at Folies Bergères: observing the legs of the dancers, he realized that shoes can change the way a woman walks and moves. So he called Hélène de Mortemart, Christian Dior’s Fashion Director, to show her his sketches, and she helped him find an internship. «The smell of glue was enough to make me understand that this was my greatest passion» he loves to say. Then he worked few months with celebrated designer Roger Vivier, where he learned how to create a magical symbiosis between design and craftsmanship. He was now ready to step onto the big stage.

“Observing the legs of the dancers, he realized that shoes can change the way a woman walks”.
Christian Louboutin

Global Success

When Christian Louboutin opened his first boutique, he was less than 30 years old, and it quickly became a reference, thanks to Caroline de Monaco who was one of his early clients. But there was still something missing. He found it by chance: while he was working on a new collection inspired by Pop Art, he noticed the red lacquer color on his assistant’s nails. The rest is history: he asked her to lend him her nail polish and used it to paint the entire sole. His first “signature” mark was born. That extra edge that turns his shoes into a highly recognizable object of desire, into the symbol of a strong and independent woman who, walking in her stilettos, leaves her indelible red mark on the streets. Today, Louboutin shoes are cult objects exhibited at the Metropolitan Museum of Art in New York.  His most celebrated creations include the Kate and So Kate stilettos designed in honor of his dear friend Kate Moss, and the made-to-measure pieces designed for Taylor Swift’s “The Eras Tour” and for Beyoncé’s album “Renaissance”.

Christian Louboutin

One Style, Many Plans.

Over his long career, Christian Louboutin has never lost his curiosity and joie de vivre, travelling all over the world and working with artisans from countries such as Bhutan, Senegal and Mexico, as well as with artists, singers and, above all, celebrated designers. He designed shoes for the shows of some of the biggest names in fashion, like Jean Paul Gautier, Chanel and Yves Saint Laurent, combining his unparalleled artisanal skills with a clear aesthetic vision. That’s the key to his success, the reason why “Louboutin shoes” are seen strutting down red carpets worldwide, worn by international celebrities.  Not only women, however, as, since 2009, there is also a men’s line and, lately, a kid’s one. These new projects speak the same language, adding on to the leather goods and accessories collections and the recently launched beauty line that, needless to say, also includes a nail polish. Obviously red.

Taylor Swift

Global compact: verso la sostenibilità

Un network internazionale

Lo hanno sottoscritto 20.000 aziende e 2.500 firmatari non commerciali di oltre 167 Paesi del mondo, di cui 500 in Italia. E tra le aziende, da oggi, c’è anche Marcolin. Parliamo dello “United Nations Global Compact”, la più grande iniziativa di cittadinanza d’impresa, nata nel 2000 da una proposta dell’ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan durante i lavori del World Economic Forum di Davos del 1999. L’obiettivo? Contrastare gli aspetti critici della globalizzazione, dal lavoro minorile alle discriminazioni di genere fino all’inquinamento di aria, acqua e terra. E promuovere un’economia globale sostenibile, rispettosa dei diritti umani e del lavoro, della salvaguardia dell’ambiente e della lotta alla corruzione. Per la prima volta nella storia, è stato sancito così l’impegno ad allineare gli obiettivi della comunità internazionale a quelli del mondo degli affari.

Global Goals for Sustainable Development

Il ruolo di Marcolin

Per l’Azienda di Longarone si tratta di un’ulteriore tappa del percorso verso una sostenibilità concreta e tangibile, basata su una strategia dei processi aziendali che poggia su tre pilastri: ambiente, persone e catena di fornitura. Attraverso l’adesione al Global Compact, Marcolin si impegna infatti a condividere, sostenere e applicare nella propria sfera di influenza i dieci principi considerati fondamentali. Cioè quelli universalmente condivisi e derivati dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani, dalla Dichiarazione ILO (lavoro), dalla Dichiarazione di Rio (ambiente e sviluppo) e dalla convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione.

A stage of frame control.

Una vision sempre piú condivisa

A quasi 25 anni dall’istituzione del Global Compact (che al primo summit vide la partecipazione di soli 500 rappresentanti dei governi nazionali, sindacati e agenzie ONU) è diventato ancora più chiaro che questa è direzione giusta. Perché è solo unendo le forze che ogni azienda può realmente incidere e contribuire alla costruzione di un domani più sostenibile, da ogni punto di vista, per le generazioni presenti e future. E perché raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile stabiliti dalle Nazioni Unite è negli interessi di tutti.

Global Compact Manifesto

Clara Magnanini

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Qual è la visione di Marcolin sulla sostenibilità?

«Per Marcolin la sostenibilità è innanzitutto una responsabilità: siamo un’azienda ma anche un attore sociale radicato all’interno di un territorio e operiamo a livello globale. Quindi le nostre azioni hanno un impatto e rendere questo impatto positivo e virtuoso, per noi è sentito come un dovere. In Marcolin concepiamo i nostri impegni come una sorta di linea dinamica, che corre e collega tre punti fondamentali della nostra strategia: il primo pilastro è la parte ambientale, che racchiude i nostri prodotti ma anche gli stabilimenti produttivi; il secondo è rappresentato dalle persone in senso più esteso; il terzo pilastro, infine, è la catena di fornitura in un’ottica di responsabilità collettiva».

 

One of the stages of manufacturing glasses
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Come si sono tradotte queste convinzioni?

«Negli ultimi anni abbiamo cominciato ad inserire materiali innovativi per alcune collezioni e brand, come per esempio l’acetato bio-based, mentre -per quanto riguarda gli stabilimenti produttivi- abbiamo sviluppato progetti di efficientamento energetico e riduzione degli sprechi. Parlando della parte sociale, poi, abbiamo appena ottenuto la certificazione sulla Parità di Genere grazie a un percorso partito da lontano, che ha visto negli anni l’introduzione di strumenti a favore del Welfare aziendale e a supporto della genitorialità, con un focus costante sulla formazione. Per quanto riguarda la catena di fornitura, infine, abbiamo introdotto un codice etico e di condotta che impone ai nostri fornitori di adottare comportamenti rispettosi dell’ambiente e dei diritti umani e monitoriamo continuamente che questo avvenga».

Clara Magnanini
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Quali le sfide per il futuro?

«Le sfide sono tante e non solamente per Marcolin. Innanzitutto, si dovrà stare al passo con l’attuale accelerazione normativa e questo impone l’adozione di nuove competenze, nuove professionalità e investimenti. Ma investire in sostenibilità costa e dà risultati solo nel medio-lungo periodo: non tutte le aziende se lo potranno permettere. Ma la sfida più grande è quella culturale, perché la sostenibilità è un tema intangibile. Lo spiega bene una frase dell’esploratore e attivista ambientale Robert Swan, secondo cui “la grande minaccia per il nostro pianeta è la convinzione che sarà qualcun altro a salvarlo”.  Perché la sostenibilità è molto meno tangibile di una pandemia, di una guerra tra Paesi o di un’inflazione, ma questa intangibilità rischia di creare indifferenza. Noi di Marcolin, invece, vogliamo fare la nostra parte, nella convinzione che il pianeta è un luogo di tutti che appartiene a tutti e, di conseguenza, va preservato per le generazioni di oggi ma soprattutto per quelle di domani».

Clara Magnanini